Video di Fulvio Marongiu sui calzolai Vidili di Serramanna, realizzato nel 2009.
Serramanna, i calzolai Vidili
L’uragano del 1898 in Sardegna: a Serramanna una tempesta durata 18 ore
La storia della nostra isola è costellata di eventi disastrosi e di calamità naturali, le cui conseguenze erano drammatiche per la popolazione già stremata dalle carestie e dalle epidemie. Le cronache di questi fatti lontani nel tempo ci hanno riportati di recente ai giorni nostri, per i danni ingenti al territorio e per le vittime.
Era ancora vivo tra la gente il ricordo dell’uragano del 5 ottobre 1889 e dei morti di quello che era chiamato da tutti “s’annu ‘e s’unda“, quando nove anni dopo, nei giorni 15 – 16 – 17 novembre 1898 il Campidano meridionale fu colpito ancora una volta da un vero e proprio uragano, come riferisce alla Camera il Presidente del Consiglio Pelloux, chiamato dal deputato Cao-Pinna e da altri onorevoli sardi a rispondere a un’interrogazione parlamentare sui disastri avvenuti nell’isola. (http://storia.camera.it/regno/lavori/leg20/sed190.pdf)
In molti paesi si registrò il crollo di numerose case, la cui struttura com’è facile supporre doveva essere già assai precaria. I danni causati alle strade comunali e provinciali ammontavano a un milione e mezzo di lire, una cifra esorbitante per l’epoca.
Dopo una notte di tempesta, la mattina del 17 novembre lo spettacolo che si presentò agli occhi dei cagliaritani fu desolante: erano crollati il bel ponte della Scafa e la Torre della Quarta Regia.
La stampa locale e nazionale diede ampio risalto al disastro che colpì la Sardegna, ma le notizie oltrepassarono anche i confini italiani.

Il quotidiano francese La Croix
Serramanna fu colpita pesantemente dall’uragano e proprio il nostro paese fu citato dal quotidiano francese La Croix, nel numero di domenica 20 e lunedì 21 novembre 1898, per le numerose case crollate e soprattutto per l’eccezionalità dei fenomeni: la tempesta durò ben 18 ore.
Nelle fotografie è possibile vedere la prima pagina e un dettaglio della pagina 3 del quotidiano La Croix, conservato nel fondo dei Periodici della Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi.
Serramanna si racconta: presentazione del volume il 18 ottobre 2015
Domenica 18 ottobre alle ore 18 presso il Montegranatico, l’Associazione culturale Il Pungolo presenta al pubblico il volume Serramanna si racconta (clicca qui per conoscere i vincitori del concorso letterario).
Dopo il grande successo della nostra iniziativa editoriale, vogliamo incontrare gli Autori e il pubblico per cogliere le impressioni generali, per parlare dei racconti e dei nuovi progetti di scrittura che vorremmo intraprendere con la collaborazione di tutti.
Vi aspettiamo
Il Pungolo
Il leone “sfacciato” di Serramanna
Povero leone! mi dico ogni volta che lo vedo, in chiesa, a guardia del Santissimo Sacramento. Il mio, è un grido d’allarme per il degrado prevedibile che pian piano ne decreterà la fine. Ma, preciso subito: il leone di cui parlo non si aggira nelle nostre strade. È un leone di pietra e, da tempo, convive con la sua minorazione fisica, alla base di una colonna, nella cappella del Santissimo Sacramento, in “San Leonardo”. Il povero leone ha perso la faccia, forse consumata dalla mano delle donne devote che, per genuflettersi senza rischiare di perdere l’equilibrio, la appoggiano sul suo viso ospitale.
Ma, oltre al degrado di vecchia data, ora rischia di perdere anche le zampe anteriori! E che ne sarà, poi, della colonna che, orgogliosamente, ha sorretto nel corso dei secoli?
Il mio grido d’allarme è rivolto ad un coraggioso “ortopedico” che, magari “gratis et amore Dei” (e con le autorizzazioni del caso), possa e sappia prevenire l’ennesima mutilazione ai nostri beni culturali. Non sono molti quelli che abbiamo, ma sono pur sempre memorie di un prestigioso passato, quando i campanili, le cupole, le statue e le “pietre” parlavano di Storia e di Ingegno, di Comunità culturalmente avanzate, desiderose di lasciare ai posteri i segni del proprio passaggio.
Dunque, chi può fare qualcosa per il nostro povero leone? Sicuramente il Parroco di San Leonardo, se già non lo avesse fatto (informandone chi di dovere) ma tutti sappiamo bene che “repetita juvant”. Senz’altro l’Amministrazione Comunale, che ha il compito di curare e proteggere il nostro patrimonio comune. Gli studiosi e i cultori dell’arte che, per professione o per passione, se ne nutrono quotidianamente. Anche noi cittadini abbiamo le nostre responsabilità, soprattutto coloro che frequentano quel luogo di culto e vedono…
Il benessere culturale non è un “optional” ma una necessità vitale. Lo hanno ben compreso quei fanatici che, nel mondo orientale, vanno distruggendo e cancellando le vestigia del passato dei loro nemici. Perché mai? Le “pietre” parlano…
Anche noi, a Serramanna, non siamo da meno. Se c’è qualcosa da buttar giù (le case “antiche” del centro storico) o da modificare (in peggio, spesso: vedi il colore, orribile in quel contesto, del muro esterno di un edificio in Piazza Gramsci e la porta, fino a poco tempo addietro finestra, aperta sulla piazza), tutto questo avviene in men che non si dica. Perché? Eppure è evidente anche per chi avesse scarsa capacità di orientamento artistico e cromatico: chi passa di lì, riceve un pugno in due occhi!!!
Ma io non sono pessimista e mi piace ricordare il “fare” più che il “distruggere” dei Serramannesi di buona volontà. Perciò ricordo questo avvenimento. Era il tempo (non tanto lontano) in cui il TG 2 della RAI-TV promosse una campagna in difesa del patrimonio artistico bisognoso di restauri che nessuno poteva garantire per scarsità di finanziamenti. Si intitolava “C’è da salvare”. Un gruppo di giovani serramannesi, capeggiati da un promettente artista locale, inviò un elenco di opere, accompagnate da esaurienti relazioni e da foto. Era l’anno 1979. La prima ad essere salvata fu la statua lignea dell’Angelo Custode, che ora si trova nel Museo d’Arte Sacra di Piazza Sant’Angelo.
Mi auguro fortemente che l’Angelo, memore di quel salvataggio “in extremis” (i tarli erano arrivati a buon punto nel loro lavoro distruttivo), si ricordi dei Serramannesi e delle loro necessità.
Ma, tornando al nostro povero leone, c’è già chi ha pensato bene di utilizzare la sua frattura come ricettacolo di rifiuti. Che cornice indecorosa per la sacralità del luogo!
Maria Porceddu Ortu
Serramanna, 5 ottobre 2015
Serramanna Insolita: disponibile il quarto volume di Paolo Casti
Nuovo lavoro di Paolo Casti, appassionato ricercatore e studioso di Serramanna, che ha realizzato il 4° volume di “Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche…”.
Intenzione dell’autore è di donare questo suo nuovo lavoro alla Biblioteca Comunale di Serramanna, affinché tutti possano conoscere e leggere delle vicende storiche o anche solo incuriosirsi delle peculiarità del proprio paese.
Come lui stesso scrive nella Prefazione “Mi appresto per la quarta volta a mettere “nero su bianco” il frutto delle mie ricerche e delle mie scoperte con spirito di condivisione e divulgazione della conoscenza. Se qualcuno, un domani, porterà avanti l’opera di salvaguardia della memoria storica della comunità serramannese grazie all’entusiasmo che sono riuscito a trasmettergli, allora morirò felice”. Il libro, costituito da 244 pagine tutte a colori, avrà molto probabilmente una tiratura limitatissima di sole 50 copie, per un costo di € 20.
Non ci sono praticamente pagine bianche; numerose le foto d’epoca inedite.
Richiedi informazioni o una copia
Le copie disponibili saranno solo 50, compila il form per essere contattati senza impegno o per poter richiedere una copia:
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Argomenti trattati
Il libro, come consuetudine è suddiviso in sezioni; 4 per l’esattezza, partendo da quella “storica” in cui è inserita la triste vicenda di “Antoniccu” Ledda, l’unico serramannese morto in un lager nazista. C’è poi l’elenco con date, reggimenti di appartenenza e quant’altro riguardante i caduti della 1° e 2° Guerra Mondiale, con un approfondimento sullo scultore Giuseppe Maria Sartorio, che ha realizzato il Monumento ai Caduti. Riporta poi l’intervista a Anna Ortu Dessì, sfollata a Serramanna nel 1943, realizzata dagli studenti del Liceo “Michelangelo” di Cagliari; la storia del ceramista Raimondo Collu e di Giustino Pittau, caduto durante i fatti di Buggerru del 1904. Molto curiosa e terribile, poi, una sentenza di morte del 1772 da eseguirsi a Serramanna.
Nella parte riservata alle “storie”, ritroviamo e riscopriamo la tradizione de “isossus ‘e mottu” e “pabassinas” nella notte de “Is Animeddas”, de “su carr’e Nannai” e delle filastrocche o “imbalas pippius” serramannesi. Son pubblicate poi le storie scritte per il progetto di prossima realizzazione “I monumenti di Serramanna a misura di bambino”, riguardanti la Chiesa di San Leonardo, il monumento ai caduti e il Monumento ai caduti sul lavoro.
C’è poi la “long version” del racconto autobiografico “Giocavamo a pallone in strada”, risultato vincitore del concorso letterario “Raccontiamo la nostra storia”.
Nella sezione concernente l’”attualità”, tratta delle costruzioni in “ladiri”, con una considerazione particolare per la Casa Museo dei coniugi “Lisci – Podda”, nonché dei Bixinaus, con la raccolta completa di tutte le targhe con relativo pannello esplicativo così come dei cartelli turistico-culturali corredati da delle bellissime fotografie, a tutta pagina, realizzate da Davide Batzella.
Singolare la vicenda riguardante la rimozione della Madonnina della grotta e della Centrale a biomasse.
Una parte interessantissima è dedicata alle conferenze e presentazioni compiute dall’autore complete di diapositive e testi utilizzati (Conferenza al CISA di dicembre 2014, Aperitivo d’Autore in Biblioteca di Aprile 2015 e l’incontro con i bambini di una 4° della scuola primaria di Serramanna) per concludere con l’intervista realizzata da Sara Mascia per il sito “Artskyintheroom.com”.
In appendice la parte dedicata agli “scrittori” con le recensioni dei libri di Franco Arba, “Dicono che domani ci sarà la guerra”, Cristian Sanna, “La Grande Eredità” e Ilaria Piras, “Cristalli di pace”.
Per maggiori informazioni consulta la pagina Facebook “Serramanna Insolita: Vol. 4″.
L’Autore
Paolo Casti è nato a Serramanna il 13 aprile 1972.
Diplomato nel 1991 in Elettronica e Telecomunicazioni, ha iniziato ad interessarsi alle nuove tecnologie arricchendo la sua formazione in quello che si stava delineando come il futuro delle comunicazioni conseguendo varie specializzazioni finché nel 1998 risultò vincitore di concorso e venne assunto alla Regione Autonoma della Sardegna in qualità di “dattilografo terminalista dove tutt’ora risulta impiegato in qualità di Responsabile del Protocollo presso la Direzione generale degli affari generali e della società dell’informazione dell’Assessorato degli Affari Generali.
Già nel 1997 aveva predisposto la bozza di quello che nel 2000 divenne “il Sito di Serramanna” dove ha raccolto il frutto delle sue ricerche personali riguardo la storia passata e le fotografie d’epoca del suo paese natale; collezione di fotografie che probabilmente è attualmente la più corposa e completa in circolazione.
Dal 2009 ha cominciato a collaborare con lo staff del sito “ASerramanna.it” pubblicando il suo primo articolo riguardante la scoperta che a Madrid, vive Luis Crespi De Valldaura y Cardenal, il XIV “Conte di Serramanna”.
Nel 2010 ha cominciato a scrivere su “Il Provinciale del Medio Campidano” riscuotendo notevoli consensi derivanti dall’alto tenore storico e culturale dei temi trattati nei suoi articoli e portando alla luce importanti novità prima tra tutte quella della paternità del monumento dei caduti attribuibile al famoso scultore Giuseppe Maria Sartorio. Collaborazione conclusasi con la pubblicazione di oltre 100 articoli nell’arco di un anno fino alla chiusura del quindicinale.
Contribuisce più o meno regolarmente all’implementazione delle voci riguardanti Serramanna su Wikipedia® (l’enciclopedia libera di Internet) soprattutto riguardo “Serramanna”, “Polisportiva Gialeto Serramanna” e la “Chiesa parrocchiale di San Leonardo”.
Nel 2013 è finalmente riuscito a contattare ed intervistare l’attuale detentore del titolo nobiliare di “Conte di Serramanna” coronando anni di personali e faticose ricerche.
Nel 2010, a maggio, ha dato alle stampe il suo primo libro “Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche…”, seguito l’anno successivo dal 2° volume dove ha raccolto “su carta” la maggior parte delle sue ricerche.
Nel 2013 dopo aver intervistato il conte di Serramanna ha realizzato un libricino, fuori commercio, che ricostruisce la storia dei conti di Serramanna succedutisia partire dal 1617 fino ad oggi. Copia donata alla Biblioteca di Serramanna, così come un volumetto fuori commercio intitolato “Murales di Serramanna, Sardus incadenaus cun ferru spinadu” dove son riportati i frutti delle sue ricerche riguardo il muralismo a Serramanna con particolare riguardo a quello conosciuto come “il murales degli incatenati”.
Nel 2014, ha dato alle stampe il 4° volume di “Serramanna insolita”.
Ha inoltre supportato l’amministrazione comunale di Serramanna, nelle ricerche che hanno portato alla realizzazione delle targhe de “is bixinaus” e alla realizzazione dei pannelli di informazione turistica e culturale.
Libri pubblicati
- Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche… Vol. 1 (Autopubblicazione, Serramanna 2010)
- Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche… Vol. 2 (Autopubblicazione, Serramanna 2011)
- Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche… (Deluxe) (Autopubblicazione, Serramanna 2011)
- Il Conte di Serramanna – Luis Crespi De Valldaura y Cardenal, XIV Conte (Edizione fuori commercio, Serramanna 2013)
- Murales di Serramanna, Sardus incadenaus cun ferru spinadu (Edizione fuori commercio, Serramanna 2013)
- Serramanna insolita – Fatti, curiosità e ricerche… Vol. 3 (Autopubblicazione, Serramanna 2014)
Intervista a professor Francesco Casula (parte II)
La scorsa primavera si è tenuto nei locali di via Rosselli, organizzato dall’UNITRE di Serramanna, il corso gratuito “Imparai su sardu. In sardu”. Mentore del corso l’inossidabile ed entusiasta professor Francesco Casula da Ollolai. Interessato e curioso anche il discreto gruppo di allievi, tutti over 40, impazienti di imparare o anche solo migliorare la conoscenza della lingua sarda. Il professore, oltre alle regole di grammatica, sintassi e morfologia, ci porta a conoscenza di fatti storici spesso ignorati dai sardi, di libri e poesie scritti in limba che ci rivelano la ricchezza e la capacità espressiva della lingua dei nostri avi. Ed è durante una di queste lezioni che mi viene l’idea di una intervista al professore, il quale si dimostra subito disponibile e gentilissimo. Quella che oggi pubblichiamo è una prima parte, sette domande e risposte delle undici totali. Abbiamo pensato di dividerla perché le risposte, tutte interessanti, necessitano di una riflessione da parte di ogni sardo che si senta tale. Confesso che l’unico rammarico è che il tutto si sia svolto per via telematica, mentre avrei preferito un incontro frontale capace di far emergere emozioni e “sentidusu” che la distanza nasconde. Ma non è detto che ciò non accada in un futuro prossimo. Buona lettura a tutti e se ne nascerà un vivace dibattito, tutti avremo occasione di acquisire maggiore consapevolezza sull’essere abitanti di questa terra chiamata SarDegna.
Intervista Parte II
8) I nostri figli come possono imparare la storia della loro terra, la lingua dei loro avi? La scuola in questo non aiuta né forse ha mai aiutato e la famiglia anche peggio…
L’Istituzione, il luogo deputato per l’apprendimento (quindi anche della storia e lingua sarda) è oramai la Scuola: essendo venuta meno, da decenni, la comunità e la famiglia come “scuola impropria” (Michelangelo Pira), ovvero come strumento di trasmissione della cultura e dei saperi. Il problema urgente che dunque abbiamo è – come già dicevo – l’inserimento organico, come materie curriculari, nelle scuole di ogni ordine e grado, della cultura, storia, lingua sarda.
Partendo dalla constatazione che fin’ora invece la scuola italiana in Sardegna è stata storicamente strumento di “memorizzazione” e di “potatura” della nostra storia e, se possibile, ancor più della nostra lingua. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo, nell’organizzazione. Si studia Orazio Coclite, Muzio Scevola e Servio Tullio: fantasie con cui Tito Livio intende esaltare e mitizzare Roma. Non si studia invece – perché lo storico romano non poteva scriverlo – che i Romani fondevano i bronzetti nuragici per modellare pugnali e corazze; per chiodare giunti metallici nelle volte dei templi; per corazzare i rostri delle navi da guerra.
Nella scuola si studia qualche decina di Piramidi d’Egitto, vere e proprie tombe di cadaveri di faraoni divinizzati, erette da migliaia di schiavi, sotto la frusta delle guardie; ma non si studiano le migliaia di nuraghi, suggestivi monumenti alla libertà, eretti da migliaia di comunità nuragiche indipendenti e federate fra loro.
Si studia Napoleone, piccolo e magro, resistentissimo alla fatica, ma non si spende una sola parola per ricordare che il tiranno corso, venuto in Sardegna, bombardò La Maddalena e fu sconfitto. Si studia insomma l’Italia dalle amate sponde e dell’elmo di Scipio, ma la Sardegna, con le sue vicissitudini storiche, le dominazioni, la sua civiltà e i suoi tesori ambientali, culturali e artistici è del tutto assente: un diplomato sardo e spesso persino un laureato, esce dalla scuola senza sapere nulla dell’architettura nuragica, della Carta De Logu, di Salvatore Satta e della lingua sarda. Una lingua sarda ancora tenuta fuori dalla scuola:per insipienza politica e per immani pregiudizi da ricondurre o alla mala fede o semplicemente all’ignoranza crassa.
Da decenni infatti la pedagogia moderna più attenta e avveduta ritiene che la lingua materna e i valori alti di cui si alimenta siano i succhi vitali, la linfa, che nutrono e fanno crescere i bambini senza correre il gravissimo pericolo di essere collocati fuori dal tempo e dallo spazio contestuale alla loro vita. Solo essa consente di saldare le valenze e i prodotti propri della sua cultura ai valori di altre culture. Negando la lingua materna, non assecondandola e coltivandola si esercita grave e ingiustificata violenza sui bambini, nuocendo al loro sviluppo e al loro equilibrio psichico. Li si strappa al nucleo familiare di origine e si trasforma in un campo di rovine la loro prima conoscenza del mondo. I bambini infatti – ma il discorso vale anche per i giovani studenti delle medie e delle superiori – se soggetti in ambito scolastico a un processo di sradicamento dalla lingua materna e dalla cultura del proprio ambiente e territorio, diventano e risultano insicuri, impacciati, “poveri” sia culturalmente che linguisticamente. Ma c’è di più : la presenza della lingua materna e della cultura locale nel curriculum scolastico non si configurano come un fatto increscioso da correggere e controllare ma come elementi indispensabili di arricchimento, di addizione e non di sottrazione, che non “disturbano” anzi favoriscono lo sviluppo comunicativo degli studenti perché agiscono positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo.
Antonella Sorace, che insegna Linguistica acquisizionale all’Università di Edimburgo, dove ha creato un centro di informazione, Bilingualism Matters,(con filiali in tutta Europa, una ha operato anche in Sardegna) e che diffonde gli esiti delle ricerche fra i non addetti ai lavori, ha scritto che : “Un bambino che parla più lingue ha la mente più flessibile. È più capace di gestire conflitti tra informazioni diverse e selezionare ciò che conta”. E continua: “Un bambino plurilingue è anche più capace di comprendere il punto di vista altrui. Dietro ogni lingua c’è un modo di pensare, un’intera cultura: i bambini plurilingui lo percepiscono,gli adulti spesso no. Ma ci sono aspetti sociali rilevanti. Un bimbo circondato da persone che svalutano una delle lingue, magari perché la credono inutile e superata, come accade in Sardegna, crescerà meno motivato a parlare”.
9) Cosa ne pensa delle nuove invasioni dei mori? Allora non ci conquistarono con le armi e oggi riusciranno con i petrodollari?
Non ci conquistarono con le armi ma per più di un millennio la Sardegna è stata funestata dalle loro incursioni: dal 703 fino al 1816. Le conseguenze sono state immani: in termini di costi economici e delle perdite umane prima di tutto. Per non parlare della “paura del mare” che si creò nella psiche sarda: l’immagine del mare infatti sarà sempre associata alle figure dei pirati, a sos moros. Di qui la tendenza delle popolazioni costiere a ritirarsi nelle zone interne. Di qui l’abbandono delle tradizioni marinare e dell’agricoltura nelle aree litoranee, l’impaludamento delle zone costiere, l’accentuarsi della diffusione della malaria che s’aggraverà viepiù.
Oggi i nuovi “Mori” sono ancor più pericolosi: comprano con i loro petrodollari il nostro territorio con le zone marine e ambientali più belle e suggestive. Di fatto sequestrandolo ed escludendo i Sardi dalla possibilità di goderne. Così siamo diventati stranieri in casa nostra.
10) La “decrescita felice” della Sardegna può essere incentivata, promossa, auspicata?
La mia risposta è sì: può essere e dobbiamo promuovere e incentivare la Decrescita felice. Chiarendo per intanto che gli avversari, ovvero i trombettieri delle magnifiche e progressive sorti del neoliberismo e della globalizzazione continuano a farne la caricatura, per poi poterla facilmente combattere. Chi sostiene la decrescita – secondo loro – vorrebbe tornare al passato, alla candela, al carro a buoi, a una vita senza comodità. In realtà chi sostiene la Decrescita parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequentissime in cui ad un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) si riscontra una diminuzione della qualità della vita. Con la devastazione della natura, con i danni profondi agli ecosistemi (il buco dell’ozono, la fine delle foreste, il problema dell’acqua, dei rifiuti) e alla salute degli uomini (nuove malattie fisiche, estesi malesseri psichici): nell’ intero Pianeta. Sardegna compresa. Perché l’intera questione dello “sviluppo” insano e devastante ci riguarda da vicino. Come la Decrescita appunto. Per cui al dominio delle “linee di metropoli” dobbiamo opporre le “linee di villaggio” e del territorio,visto non più come mero supporto di attività economiche ma sistema complesso di identità geografiche, ambientali, storiche, culturali, linguistiche.
11) Professore, ci consigli un libro da leggere in sardo, una poesia da conoscere, un saggio che ci illumini.
Un libro?NURAI di Gianfranco Pintore.( Ed. Papiros, Nuoro 2002) Un eccellente romanzo scritto in Limba sarda comuna (alla faccia di chi parla di una “lingua artificiale o di plastica) in cui si narra una storia di spie e omicidi, ambientata nella Sardegna degli ultimi anni. Pintore con Nurai continua la sua esperienza di autore di romanzi gialli in cui uscendo dai canoni tradizionali del folklore, analizza e approfondisce i codici di comportamento di un popolo, in cui l’autore ha voluto mostrare il contrasto fra le due leggi, quella italiana e quella sarda, e il travaglio esistenziale che ne deriva.
Una poesia da conoscere?CUADDEDDU CUADDEDDU di Benvenuto Lobina, in sardo-campidanese. Una straordinaria critica, tutta modulata sull’ironia e lo sdegno, dell’industrializzazione petrolchimica in Sardegna con cui hanno venas i arrius/alluau tottu impari/alluau anti su mari/e is tanas e is nius./Bidda’ mes’abbandonadas/a i’ beccius mesu bius/a su prant’ ’e is pippius/a pobiddas annugiadas./Oh, sa mellu gioventudi/sprazzinada in mesi mundu/scarescendu ballu tundu/scarescendu su chi fudi.
Un Saggio? Sono modesto:consiglio i due volumi della mia “Letteratura e civiltà della Sardegna “(Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova 2011-2013). Per conoscere la nostra civiltà e la nostra produzione letteraria, artistica e poetica.
La prima parte dell’intervista è disponibile QUI
Commemorazione dei Caduti di tutte le Guerre 2015: fotografie
Come da svariati anni a questa parte, il 4 novembre 2015 si è tenuta la Commemorazione dei Caduti in Guerra, Festa dell’Unità d’Italia, Giornata delle Forze Armate.
La cerimonia ha avuto inizio presso la Casa Comunale e, dopo la messa in suffragio dei Caduti in Guerra, è continuata presso il Monumento ai Caduti di Piazza Martiri. Erano presenti le autorità civili, militari e religiose cittadine, i rappresentanti delle varie Associazioni di Volontariato che operano nel nostro paese e alcune classi delle Scuole. La parte artistica è stata curata da Valentino Mannias e Luca Spanu.
In questa giornata si sono voluti ricordare tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere.
Un ringraziamento a Luigi Atzori per averci fornito queste belle fotografie.
Il Monumento ai Caduti
Il “Monumento ai caduti”, inaugurato nel 1922 per commemorare i soldati di Serramanna caduti nella 1° Guerra Mondiale del 1915-18, è una colonna dorica di calcare dolomitico di Gonnesa, opera di Giuseppe Maria Sartorio.
Leggi altro su: Monumento ai Caduti: forse non tutti sanno che…
In ricordo dei Caduti di Serramanna
Serramanna come tutti i paesi, città e regioni italiane diede il suo contributo; quello che segue è il triste elenco dei giovani serramannesi che hanno dato la loro giovane vita per la Patria, per una patria che probabilmente nemmeno sentivano loro.
Ciò che più colpisce leggendo le “schede” sintetiche è l’età di quei ragazzi, perlopiù 19 o 20 anni.
Consulta l’elenco dei caduti serramannesi cliccando sul link sottostante.
Leggi altro su: In ricordo dei caduti di Serramanna nella 1^ Guerra Mondiale 1915/18
Il 4 novembre
Il 4 novembre 1918 aveva termine la Prima Guerra Mondiale, un evento che ha segnato in modo molto profondo e indelebile l’inizio del ‘900 e che ha determinato radicali mutamenti politici e sociali.
La data, che celebra la fine vittoriosa della guerra, commemora la firma dell’armistizio siglato a Villa Giusti (Padova) con l’Impero Austro-Ungarico. È diventata la giornata dedicata alle Forze Armate.
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Presidente della Cantina della Trexenta parla serramannese
Imprenditore di Serramanna, Fulvio Etzi, conclude il terzo mandato consecutivo nel ruolo di Presidente della Cantina della Trexenta.
Quasi dieci anni di carriera come Presidente e tre nel Consiglio di Amministrazione in una Società Cooperativa; si tratta di un consenso evidentemente solido, maturato sulla fiducia per scelte talvolta dettate dal sacrificio ma che alla lunga hanno prodotto risultati positivi.
“Sono grato ai soci, alcuni anche serramannesi” – ci tiene a precisare – “poiché hanno compreso il motivo di alcune decisioni dettate dalla necessità e condiviso una strategia aziendale principalmente volta all’allentamento nei vincoli del credito e quindi alla priorità per l’impiego di capitale di rischio e contemporaneamente la riduzione al minimo per quello di credito”.
Il primo incarico dirigenziale, quasi sempre significa una scommessa; il secondo spesso è suggerito dall’esigenza continuità ma il terzo, un Presidente deve proprio meritarselo. E parliamo di un mondo difficile.
Dal Campidano alla Trexenta il passo non è lungo, in chilometri.
Il mondo dell’agricoltura è complicato perché tra l’innovazione e la tradizione la sintesi non sempre è possibile; bisogna scegliere e in fretta. Spesso ci si muove sul filo di lana. Ma quando il passo è misurato i risultati arrivano.
Angelo Medda lascia le gare ufficiali di bocce: la sua lettera
Angelo Medda è un nostro compaesano, socio fondatore dell’Associazione Bocciofila di Serramanna, che per motivi di salute ha deciso di abbandonare le gare ufficiali a 77 anni.
Ecco la sua lettera: è bene specificare che, per chi avesse letto un articolo simile sulla Gazzetta del Medio Campidano, è questo lo scritto originale. Nella Gazzetta è stato aggiustato ed alterato, modificandone completamente il significato.
Lettera di Angelo Medda
Il giorno 15/11/1988 fu fondata l’Associazione Bocciofila di Serramanna, dal sottoscritto Angelo Medda e Venerando Fenu, sostenuti da un gruppo di appassionati qui sotto elencati:
Pilloni Mario, Cocco Luciano, Orrù Mario, Pilloni Leanzio, Conti Francesco, Lecca Francesco, Cabriolu Giuseppe, Porcu Renato, Zanda Gianni.
La somma necessaria fu di 600 mila lire, ma le nostre quote non bastarono, in quanto mettemmo 50 mila lire a testa, e quindi facendo un giro per i negozi paesani racimolammo il resto.
Il Comune ci diede la struttura di via Cagliari, al cui interno c’erano due campi in terra battuta; erano all’aperto e volevano sistemati. Quindi ci quotammo di nuovo per renderli idonei, e dopo ciò potemmo scrivere la Società in Federazione.
Eravamo di poca esperienza e ci vennero incontro delle persone dal comitato di Cagliari che ancora oggi tengo a ringraziare: Portas, Camoglio, Pisu, Cordedu. Così, cominciammo a fare sul serio, anche se inizialmente arrivarono delle sconfitte come risultati.
Pian piano però, arrivarono le prime vittorie e cresceva così l’entusiasmo… Intanto il Comune di Serramanna costruì il nuovo Bocciodromo, uno dei migliori in Sardegna. Si avvicinarono in seguito tanti giovani, tra cui Stefano Frongia, che tre anni fa diventò vice campione italiano, e oggi gioca col Cagliari.
Abbiamo Fabio Serra, che appena quindicenne è già un piglia tutto, essendo diventato tre anni fa campione provinciale per poi l’anno dopo diventare vice campione italiano della sua categoria. E pensare che si dice ancora che il gioco delle bocce è un gioco per soli anziani!
Ringrazio tutte le giunte comunali passate e presenti, per avermi concesso di fare di questa mia attività un piccolo giardino di casa, regalandomi tutte le piante e fiori che fanno del Bocciodromo una vera Oasi.
Lascio le gare ufficiali a 77 anni per motivi di salute, “largo ai giovani”.
Angelo Medda
Il Ladiri, patrimonio di Serramanna
Fino agli anni ’60 nei paesi del Campidano era consuetudine costruire le case usando mattoni di terra cruda, il cosiddetto “ladiri” (dal latino “later” = argilla).
Oggi, questa tecnica (o pratica) costruttiva è diventata patrimonio storico culturale e identitario di tante comunità campidanesi, come anche a Serramanna che ha avviato da alcuni anni un processo di sensibilizzazione attraverso la valorizzazione, anche in chiave turistica, del centro storico dove ancora sono presenti abitazioni storiche in ladiri.

Scorcio di Serramanna. Case in “ladiri”
I mattoni di terra cruda (“ladiri”) sono l’elemento cardine intorno al quale si è sviluppata l’architettura popolare nel sud Sardegna; lasciandoci un patrimonio consistente e vario, espressione di una tradizione costruttiva attenta al clima e al risparmio, mediante lo sfruttamento ottimale delle risorse locali. Secondo dati dell’UNESCO, una buona parte della popolazione mondiale, si stima un 30-40%, vive in edifici di terra. Quindi, oltre ad essere un materiale del passato, oggi la terra cruda sta subendo una rivalutazione in tutto il mondo, anche nei paesi ricchi, sia per le notevoli soluzioni estetiche che gli architetti contemporanei riescono ad ottenere, sia per le buone proprietà termo igrometriche, ecologiche e di compatibilità ambientale.
Dall’Europa Centrale (Francia, Belgio, Germania, Austria) alla penisola Iberica, dal Sud America all’Australia passando per gli Stati Uniti, dalla penisola Arabica all’Africa del Nord, dalla Cina a Sud Africa, la terra cruda sta dimostrando di essere capace di rispondere alle esigenze contemporanee con esiti ecologici, estetici e ambientali di tutto rilievo.
L’utilizzo di questa tecnica costruttiva fa parte del patrimonio storico della Sardegna e ha incontrovertibili origini puniche, come testimoniano murature in ladiri presenti nel sito archeologico di Nora.
La tecnica era già diffusa in tutti i paesi dell’Africa e del Medio Oriente, dove attualmente è una forma costruttiva utilizzata, soprattutto nei villaggi dei deserti dello Yemen e dell’ Algeria; è adottata anche in alcune zone dell’Egitto, così come anche nel Sud America, in Perù e Cile.
A Serramanna e in buona parte dei centri abitativi del Campidano, ci si adattò all’impiego del mattone in argilla, paglia e fango, probabilmente perché il territorio non forniva pietre adoperabili per la costruzione delle case.
Vi era allora la figura dei cosiddetti “lardiraiusu”, abili lavoratori che seguivano una precisa tecnica di preparazione dei mattoni.
La prima fase era dedicata, ovviamente, alla preparazione dell’impasto, “sa sciofa”; l’argilla veniva estratta e frantumata, sottoposta a setacciatura, quindi amalgamata a paglia tritata.
L’impasto veniva fatto utilizzando semplicemente acqua, servendosi della zappa, “sa marra”, o molto spesso direttamente coi piedi scalzi all’interno di una fossa.

“sa sciofa”
Quando l’impasto diventava più malleabile, si riversava in un apposito stampo in legno, “su sestu” (generalmente di circa 10x20x40 cm) e dove veniva opportunamente lisciato e lasciato ad essiccare al sole.

Su Sestu
L’esposizione al Sole durava circa tre settimane, durante le quali i mattoni venivano variamente posizionati per una migliore essiccazione.

Mattoni posti ad essiccare
La costruzione della casa seguiva ugualmente un iter ben preciso.
Prima si effettuava lo scavo di una trincea (le fondamenta) rigorosamente a mano, con “su piccu” (il piccone) che poi si riempiva con pietre e malta di fango o calce.
Successivamente si procedeva alla realizzazione di un basamento in pietrame dell’altezza di circa un metro, sul quale cominciava ad essere tirato su il muro in mattoni, bloccati, l’uno sull’altro con l’utilizzo di malta di fango ed anche l’intonacatura avveniva compattando paglia e fango sino ad ottenere uno strato uniforme steso sulle pareti; a questo punto per evitare la dilavatura, era necessaria una intonacatura finale sottilissima, di calce e sabbia, che aveva bisogno di un rinnovamento periodico.

Muro in “ladiri”
Per il solaio venivano impiegati travi e tavolati in legno mentre il tetto veniva realizzato mediante l’utilizzo di tegole artigianali a base di argilla.
La tramezzatura interna era, in alcuni casi realizzata con un pannello costituito da canne assemblate, ricoperto da un intonaco di fango e tinteggiato con latte di calce.
Con la diffusione del cemento, negli anni ’60 a seguito del boom economico anche in Sardegna arrivarono consistenti cambiamenti nelle tecnologie costruttive che abbatterono ovviamente i costi di costruzione.
Così anche a Serramanna, i blocchetti di cemento hanno rapidamente rimpiazzato quello di fango.
Non si è certi che si siano fatti passi in avanti, perché le case di “ladiri” erano ben coibentate mentre quelle moderne, realizzate in blocchetti lasciano l’aria all’interno umida d’inverno e afosa d’estate. Per non parlare dell’uso sciagurato dei tetti in eternit, fortunatamente ora fuorilegge.
A Serramanna grazie all’iniziativa dei fratelli Stefano e Ignazio Coccodi si è cercato di portare avanti la tradizione de “i ladiraiusu” realizzando una fabbrica di mattoni crudi alla periferia del paese.
Purtroppo molte case, trascurate dai proprietari, stanno cadendo…

Casa Mannias, Via Serra, incrocio con Via E. D’Arborea (anno 2008) – Google Street View©

Casa Mannias, Via Serra, incrocio con Via E. D’Arborea (anno 2011) – Google Street View©
Fortunatamente, alcune giovani coppie, come ad esempio i coniugi, Filippo Podda e Sara Lisci, hanno acquistato una casa campidanese, in Via Serra, realizzandovi oltre alla loro abitazione un museo della “cultura e civiltà contadina”, in quella che fu una fabbrica di gazzosa.
A seguire le foto della “Casa Museo Podda – Lisci” realizzate da Ermelinda Frongia.
Serramanna e Cagliari legate, da oltre un secolo, in nome dello sport
La Società Polisportiva Gialeto fu fondata ufficialmente il 13 giugno 1909 a Serramanna (data desunta dall’articolo pubblicato sull’Unione Sarda del 14.06. 1909, «Serramanna (CA) Ieri sera si è costituita in questo comune la società “Gialeto” della quale fanno parte 59 soci fondatori, 39 effettivi, 20 allievi e 8 allieve»), ad opera di Francesco Murgia, noto Chicchino, un commerciante cagliaritano che volle creare a Serramanna una società sportiva ad immagine della gloriosa società ginnica Amsicora di Cagliari.Il motto della neonata società era “vinci senza presunzione, perdi senza amarezza”.
Ma fu proprio la società Amsicora di Cagliari, con oltre 400 atleti, a tenere a battesimo la fondazione della “Gialeto” con un’esibizione che entusiasmò i serramannesi; l’esibizione si tenne il giorno 6 giugno 1909, giacché la società serramannese era già virtualmente costituita, subito dopo i successi ottenuti dagli atleti cagliaritani al Convegno ginnico tenutosi a Palermo pochi giorni prima.
L’8 giugno 1909 su “L’Unione Sarda” ci fu un approfondito articolo in merito alla festosa manifestazione.
Il tutto fu impeccabilmente organizzato dal signor Francesco Murgia, negoziante, e da Pietro Nioi, insegnante, che accolsero l’Amsicora e il suo presidente Guido Costa alla stazione dei treni, fin dal loro arrivo alle ore 08:10 del mattino, assieme ai soci della costituente società Gialeto, ai soci del circolo di lettura presieduti dal Cavalier Cesare Lepori, dai membri della Società Operaia e da un folto pubblico.

Fanfara Amsicora

Fanfara Gialeto
Il corteo degli atleti delle due società accompagnati dalle fanfare sfilarono per le vie del paese applauditi dalla moltitudine dei serramannesi assiepati lungo le vie.
Il saggio vero e proprio si tenne alle ore 16 e si ricorda la mirabile rappresentazione del ginnasta amsicorino Giacomo Puddu già pluripremiato al concorso nazionale di Palermo.
Alle 19, a manifestazione ginnica conclusa, gli atleti in corteo furono ricevuti da sindaco, signor Aurelio Cixi che omaggiò tutti con assaggi di eccellenti vini serramannesi.
Infine alle 19:30 con un festante corteo gli ospiti furono accompagnato alla stazione.
A soli due mesi dalla fondazione, la Gialeto, poté fregiarsi del titolo sardo di sollevamento grazie a Salvatore Marongiu, che lo vinse anche nel 1913 e nel 1920.

Atleti della Gialeto

Salvatore Marongiu
Col venir meno dell’apporto economico di Chicchino Murgia e con la generale crisi economica dovuta anche alle due guerre, la Società Ginnastica “Gialeto” si avviò verso un inesorabile declino che portò a vendere perfino le coppe e i trofei conquistati in venti anni di attività agonistica.
L’attività sportiva della Gialeto che inizialmente riguardava solo la ginnastica, a cui il pubblico di quegli anni prestava maggiore attenzione, fu seguito da altre discipline, quali il pugilato e il tiro a volo, il ciclismo e infine il calcio.
A dire il vero a Serramanna il movimento calcistico, non nacque propriamente con la Gialeto; già nel 1928 in pieno periodo fascista vi era una squadra locale, chiamata “Sangelicana” (o “S’Angelicana”) che fino ai primi anni ’30 disputava le sue partite in “s’axroba ‘e Giuanni Zucca” (più o meno nella zona tra l’attuale Corso Italia e la pista di pattinaggio) e successivamente presso “Su campu de Michelinu” (tra le attuali Via San Leonardo, Via San Marino e Via Malta).

La formazione della Sangelicana di Serramanna
(notare la maglia caratterizzata da fascio littorio sul petto)
Ogni tanto veniva ad allenarsi a Serramanna anche la squadra del Cagliari, e grazie a Corrado Delunas (autore de “La grande storia del Cagliari vol.1 – Dalla fondazione allo scudetto – Geo Edizioni), è possibile vedere alcune foto scattate proprio a Serramanna, esattamente il 1° giugno 1931.

Le squadre della Sangelicana e del Cagliari

La squadra del Cagliari
A partire da 1932, il campo utilizzato, era ubicato oltre la ferrovia, tra le attuali Via Polonia, Via Ungheria e Via Nazioni Unite, dove si giocò fino al 1944.
Anche le maglie cambiarono, infatti in alcune foto del 1930, di proprietà del signor Giovanni Concas, appaiono a righine orizzontali.
I rapporti amichevoli tra Serramanna e il Cagliari son proseguiti fino ai giorni nostri e numerose son state le partite giocate al comunale “Fausto Coppi”, di cui riporto appresso alcune cronache.
Amichevoli Cagliari Calcio
Notizie tratte da http://www.cagliaricalcio.net
Giovedì 7 Febbraio 2002
Finisce 15 a 2 l’amichevole giocata questo pomeriggio dal Cagliari a Serramanna contro la Gialeto.
Il test ha confermato che l’unico ballottaggio è quello fra Gorgone e Melis, per occupare il posto di Lucenti. Ieri, Gorgone è stato preferito a Melis nel primo tempo dell’amichevole, ma i giochi sono aperti. Non sembra in dubbio la presenza di Cudini, che accusa un leggero indolenzimento muscolare. Ieri il difensore non ha giocato ma si è allenato con intensità, seguito dal secondo allenatore Vallongo. «È un problema di poco conto», taglia corto il professor Massimiliano Salvi, ortopedico di fiducia rossoblù, «non ci sono dubbi sul suo recupero».
Sonetti ha quindi mandato in campo una difesa formata da Pantanelli, Modesto, Lopez, Circati e De Angelis; un centrocampo con Gorgone, Pinna, Conti e Esposito; un attacco con Suazo e Cammarata. Dopo un’occasione di Lai per la Gialeto, il Cagliari ha accelerato segnando gol a grappoli. Ha aperto Modesto (tocco sulla linea su felice conclusione di Cammarata), hanno proseguito Suazo (tripletta), Cammarata (doppietta, più il solito rigore sbagliato), Esposito e Gorgone. Infine un autogol di Pilloni e una rete (nella porta giusta) di Murgia, per il 9-1 del primo tempo. Nella ripresa ha aperto Lai per la Gialeto, poi Negri ha segnato il suo primo gol con la maglia del Cagliari, mentre una doppietta di Ragatzu ha confezionato il 12-2 finale.
Alla fine, festa in campo e fuori. I momenti bui sembrano alle spalle.
Ivan Paone
Gialeto: Dessì, Pilloni, Siddi (Cocco), Sanna, Massa, Tagliazucchi (Carboni), Vincis, Dettori (Zucca), Murgia (Faedda), Lai, Cirina (Murroni). All. Mura.
Cagliari: Pantanelli (Mancini), Modesto (Dionisio), Circati (Di Fabio), Lopez (Grassadonia), De Angelis (Sulcis), Gorgone (Sogus, Gavioli), Pinna (Abeijon), Conti (Lucenti), Esposito (Melis), Cammarata (Negri), Suazo (Ragatzu). All. Sonetti.
Arbitro: Angioni di Oristano.
Reti: nel p.t.Suazo (tre), Cammarata (due), Modesto, Gorgone, Esposito, Pilloni (autogol), Murgia (G.): nel s.t. Lai (G.), Ragatzu (due), Negri.
Il tour di alcuni rossoblù è proseguito. Infatti, Pantanelli, Mancini, Cammarata, accompagnati dai dirigenti Loviselli e Carboni hanno fatto visita al Cagliari Club Serramanna nel quale hanno incontrato dirigenti e tifosi.
Giovedì 20 Marzo 2003
Amichevole contro la Gialeto a Serramanna.
Questa la partitella infrasettimanale disputata dal Cagliari questa settimana.
In evidenza le cosiddette seconde linee con Bucchi e Cammarata in grande spolvero (5 goal a testa). Mancavano all’appello Gorgone, Pinna e Guana infortunati e indisponibili per la partita di lunedì a Verona.
Giovedì 2 Marzo 2006
Un pò il sole, un pò la pioggia per quanto concerne le condizioni ambientali, così come un pò il brutto ed un pò il bello per quanto attiene la prestazione rossoblù nel corso della partita amichevole disputata nel pomeriggio al “Cellino” di Assemini con la Gialeto di Serramanna.
6 a 1 il risultato finale con reti cagliaritane equamente distribuite nelle due frazioni di gioco e gol della bandiera messo a segno dagli ospiti nel finale di gara.
Nel 1° tempo Sonetti manda in campo Chimenti, Ferri, Vignati, Lopez, Pisano, Abejon, Budel, Gobbi, Esposito, Capone e Langella.
Cagliari subito in vantaggio con Capone, raddoppio di Ferri alla metà del tempo e marcatura di Esposito in chiusura.
Cagliari ancora in goal con Budel cui fa seguito Cocco ed infine Pani su rigore. L’onore della Gialeto porta la firma di Michele Manunza che segna quasi sul fischio di chiusura.
Giovedì 22 Novembre 2007
Si è conclusa 8 a 1 per il Cagliari l’amichevole del giovedì contro la Gialeto, formazione militante nel campionato di Promozione. Un buon galoppo che ha evidenziato un Foggia in grande spolvero. A rovinare la giornata, l’infortunio di Shala. Lo svizzero ha riportato una distorsione al ginocchio sinistro. Cagliari in vantaggio al 6′ con Foggia, che devia in rete un cross di Agostini. Il raddoppio al 19′ ancora di Foggia. Il fantasista si procurava un rigore che egli stesso trasformava. Al 33′ terzo gol firmato Acquafresca, messo in azione da Foggia. Il 4-0 col quale si chiudeva il primo tempo era ancora di Foggia, dopo una splendida azione personale nella quale il giocatore napoletano dribblava anche Pillittu prima di depositare in rete. Nella ripresa arrotondavano il punteggio Larrivey al 5′ con un tiro di piatto, e tre minuti dopo il giovane Cotza: bello il suo tiro di esterno proprio sotto l’incrocio dei pali. La Gialeto accorciava le distanze con Olla, che si inser5iva bene in area e superava Marruocco. Al 36′ bel goal di Mancosu: dribbling secco sull’avversario e sventola imparabile. Sigillava il risultato sull’8-1 Larrivey, con un bel colpo di testa.
Cagliari: Fortin (Marruocco), Ferri (Magliochetti), Bianco (Canini), Lopez (Bizera), Agostini (Del Grosso), Biondini (Shala), Conti (Cotza), Parola (Fini), Foggia (Mancosu), Acquafresca (Larrivey), Matri (Francescoli)
Gialeto: Pillittu, Mascia, S. Lai, Masia, Baldanza, Desogus, Caria, C. Lai, Fadda, Pooli, Ibba. Nella ripresa sono entrati Boassa, Marongiu, Olla e LIlliu
Mercoledì 7 Gennaio 2009
13 goal del Cagliari sulla Gialeto nel consueto test infrasettimanale disputatosi allo stadio “Fausto Coppi” di Serramanna, davanti ad un pubblico di circa 800 persone. Rossoblù in vantaggio al 25′ con Ragatzu, che di testa in tuffo manda alle spalle di Carzedda su cross di Fini. Raddoppia Pani al 29′: imparabile il bolide del centrocampista sardo, con palla all’angolino basso. Quattro minuti più tardi, è la volta di Larrivey, che sfrutta alla perfezione una punizione astutamente battuta da Conti. Al 40′ Ferri fa poker, deviando di testa in rete un tiro al volo di Conti. Nella ripresa arrivano altri nove goal: cinque ad opera di uno Jeda scatenato (55, 58, 61, 74 e 89′), 49′ Cossu, 51′ Matri, 84′ Biondini e Lazzari al 88′.
Cagliari (1 tempo): Lupatelli, Ferri, Canini, Astori, Agostini, Fini, Conti, Parola, Pani, Ragatzu, Larrivey
Cagliari (2 tempo): Marchetti, Pisano, Matheu, Bianco (65′ Lopez), Magliochetti, Biondini, Burrai, Lazzari, Cossu, Jeda, Matri
Gialeto: Carzedda, Mascia, Lai, Costa, Pili, Piga, Atzeni, Cocco, Uda, Congiu, Fadda. Nella ripresa sono entrati Olla, Congiu, Caboni, Collu, Biddai, Spiga e Porcu.
4 agosto 2010 Cagliari – Campobasso
Informazioni: http://www.aserramanna.it/2010/07/cagliari-campobasso-a-serramanna
17 sett 2014 Cagliari-Selargius
Puoi leggere la sintesi: http://www.aserramanna.it/2014/09/sintesi-cagliari-selargius-serramanna
Il Cagliari Club di Serramanna
Non è quindi un caso che a Serramanna sia rinato il Cagliari Club. Quello che inizialmente sembrava un sogno buttato lì, ha pian piano preso forma e grazie alla caparbietà e interessamento del Presidente e del suo vice si è concretizzato.
Una botte di nome Noè
Noè non era una semplice botte, seppur mastodontica; era il simbolo dell’abbondanza e fu quasi un emblema, un monumento del paese, tanto che numerosi erano sempre i curiosi che andavano ad ammirarla, quasi intimoriti da tanta maestosità.
A quei tempi oltre al detto «Ses longu cummenti su campanibi ‘e Serramanna», si usava dire, anche «Mannu? Manna è Noè, sa carrada ‘e tziu Ludovicu»; una botte di nome Noè, proprio così.
Ludovicu Mossa, grosso possidente, industriale e commerciante di cereali e di vini abitava nei pressi de “Sa Gruxi Santa”. Ai primi del ‘900 del secolo scorso durante una visita alla Fiera di Milano, vide questa botte, enorme, creata apposta per l’esposizione, e se ne innamorò, tanto che volle acquistarla e portarla a Serramanna.
Una botte in legno di rovere di Slavonia, con dei giganteschi cerchioni in ferro, talmente smisurata che si rese necessario smontarla per il trasporto.
Venne quindi portata a Serramanna, e rimontata all’interno della cantina di Ludovicu, dai mastri bottai venuti appositamente dall’Austria, con l’aiuto dei bottai serramannesi Mameli e Pillitu.
L’imponente botte portava impresso sul fronte, a grandi lettere bianche, smaltate ed in risalto, oltre al suo nome, la capacità: 31000 litri, trentuno mila litri! Un esagerazione, tanto da far sfigurare le botti che le stavano affianco, di “appena” 10.000 litri di capienza.
Ne esaltò fama e maestosità anche Vico Mossa ne “I Cabilli”:
[…] mi recavo nel grande magazzino per assistere alle ultime fasi del travaso, mediante faticose pompate, nel cocchiume sulla sommità di Noè, che mi appariva giù in fondo come una montagna, e che sembrava non si dovesse riempire mai. Mio nonno aveva acquistato la gran botte da una ditta, che l’aveva allestita per una esposizione internazionale, qualche tempo prima del famoso anno della fillossera, avanti la grande guerra: tutta in rovere di Slavonia, cerchiata da enormi ghiere di ferro, sorretta da grosse travi sopra robusti supporti in muratura. Il nome era scritto su in alto, in grandi lettere in rilievo, smaltate, assieme a un numero che mi sbalordiva N. I L.31.000 NOE’ Ai lati erano due fusti, anch’essi grandi, della capacità ognuna di circa diecimila litri, ma accanto ad esso apparivano modesti. La grande botte trionfava incontrastata su tutte le altre allineate, al posto d’onore, come un monumento. Allorché era ben colmo di mosto, Noè ruggiva, e allora mi sembrava che avesse anche la barba. Man mano che il mosto fermentava, se ne aggiungeva dell’altro; talvolta il gigante rigurgitava e incuteva quasi paura. [….] la cosa più singolare era che come andava riempito in una sola volta, così bisognava svuotarlo tutto in una volta: il vino veniva travasato nelle piccole botti da viaggio con la sigla bianca e si ricomponeva la processione dei carri, diretta allo scalo merci della ferrovia. Perché altrimenti, ebbe a spiegarmi mio nonno, Noè si sarebbe vendicato, facendo inacidire il vino […] I fraticelli questuanti, molto frequenti in quel tempo, attraversavano a fatica i grandi cortili, scansando carri, cavalli e altri ingombri, per giungere a salutare il grande Patriarca (Noè n.d.r.) e brindare alla sua salute eterna; lasciavano sempre immaginette, che gli operai incollavano regolarmente nella parte bassa della grande botte. Sembravano degli ex-voto [….].
Come già detto, divenne quasi un monumento per i serramannesi, e venivano curiosi da tutti i paesi vicini per ammirarla. Nel periodo della vendemmia, quando era colma di mosto che iniziava la fermentazione, il suo borbottio si udiva in tutto il vicinato e oltre.
Nel 1978, i parenti di Ludovicu, avendola ormai inutilizzata, la vollero donare alla Cantina Sociale del Campidano di Serramanna, che volle, almeno nelle intenzioni, riservarle un posto d’onore nello scantinato per l’invecchiamento che si stava fabbricando in quegli anni; per poterla portare dentro, visto che i mezzi a disposizione non rendevano ormai più necessario smontarla, si lasciò nella soletta addirittura una botola ad hoc.
Non fu però purtroppo custodita con le dovute attenzioni. Venne lasciata nel cortile della Cantina, poggiata su due cavalletti, come fosse stata una botticella qualsiasi, esposta all’incuria e alle intemperie.
Dopo qualche anno Noè si deteriorò irrimediabilmente, mettendo la parola fine alla sua “leggenda”.
Incontro con tzia Maria Arisci
Quando la vado a trovare, purtroppo non quanto vorrei, la trovo seduta sulla sedia a rotelle che lei stessa spinge coi piedi, la schiena dritta, tra le mani nodose ma ancora agili tiene il lavoro all’uncinetto (che svolge senza occhiali!) con cui prepara le bomboniere da regalare al compleanno dei cento anni, i bianchi capelli raccolti nella morbida crocchia a treccia che probabilmente l’accompagna da quel lontano giorno in cui abbandonò l’infanzia per entrare nel mondo degli adulti, circa ottant’anni fa. Lo sguardo dei suoi occhi azzurri ancora lucenti e vivi mi accoglie con un piacere che sconfina nella gioia infantile di chi finalmente incontra qualcuno che aspettava da tempo. Ci abbracciamo con affetto, ci scambiamo delle battute sulla mia latitanza che lei dice di comprendere ma poi mi rimprovera con quelle parole che mi fanno capire quanto per lei sia importante non essere dimenticata, abbandonata alla solitudine della sua maestosa e desolata età, perché così è lei oggi proprio come le cime delle montagne più alte.
Maria Arixi ha compiuto 98 anni il 23 agosto, classe 1917, oggi vive in casa dei nipoti, accudita da loro, da Susanna e dalle geriatriche della cooperativa. Da una caduta avvenuta circa sei anni fa sul portone di casa non ha più l’autonomia per deambulare. Tanti serramannesi la ricorderanno per le sue numerose partecipazioni alla Pazzieggiata, con le scarpe di tutti i giorni e l’immancabile gonna: “..cali adessi stetia sa bregungia a si poi is crazonis cumenti is ominis!”. Perché tzia Maria è una donna di altri tempi, potremmo dire che è una “fidanzata di guerra”, infatti il suo promesso sposo, Vittorio, risultò disperso in Russia e lei per sessant’anni, destreggiandosi tra Ministero della Guerra e della Difesa, tempestando di lettere oscuri e anonimi impiegati ministeriali, ha cercato di avere notizie di quel ragazzo cui aveva affidato il suo cuore di fanciulla innamorata.
Tzia Maria, ieri come oggi, non è una mite e placida vecchietta, è invece una donna altera e spigolosa, orgogliosa e puntigliosa, non dimentica e non perdona facilmente, implacabile con chi le fa dei torti, lucida e presente nell’oggi, precisa e ricca nei ricordi del passato, appartiene ad una stirpe di serramannesi ormai estinti. Un Thirannosaurus Rex che se invece de sa gunnedda avesse portato is crazonis, visto il temperamento risoluto e tenace, avrebbe magari ricoperto una carica politica, che so… la sindaca!
Una donna di quei tempi poteva ambire a diventare il perno della vita della famiglia, ma la guerra e il destino hanno voluto che lei una sua famiglia non se la facesse e incentrasse la sua esistenza nel ricordo di quel fidanzato inghiottito dalle immense steppe innevate della Russia. Quel ricordo è stato il motore della sua esistenza, con consapevolezza lei è stata la sposa di Vittorio e di nessun altro. Il lavoro, la cura dei genitori prima, delle sorelle e dei nipoti poi, hanno riempito le giornate della sua lunga esistenza. Il lavoro, soprattutto, le ha permesso di mantenere l’indipendenza economica, fin da giovinetta, finita la scuola, ha accompagnato il padre in campagna, con le sorelle andava “a sa spiga”, “a scudi mendua e obia”, lavori duri, fisici, che richiedono forza e resistenza, schiena forte e braccia robuste. Finché c’è stato il padre in campagna ci andava col carro, poi a piedi e fino a pochi anni fa la si poteva incontrare con il suo carrello e sa cannuga, che ancora svolgeva quei lavori a lei familiari e oggi ignorati anche dai giovani agricoltori.
Per lei io sono una pronipote acquisita, il suo fidanzato era un mio prozio, fratello di nonna che, insieme a tutta la sua famiglia, ha sempre considerato Maria una cognata, una parente di cui far conto. Relazioni di altri tempi, legami antichi capaci di non dissolversi, con radici profonde come quelle di alcuni mandorli e olivi ancora presenti nell’agro del nostro paese. Lei è una delle poche memorie lucide rimaste di una comunità agricola che nella globalizzazione moderna cerca, faticosamente e a prezzo di grandi sacrifici, una strada per non scomparire. E’ importante non dimenticare da dove veniamo, riconoscere le orme che ci hanno preceduto, onorarle e valorizzarle per poter ritrovare un filo conduttore identitario che non ci faccia smarrire in un labirintico futuro.
Quando parlo con tzia Maria mi sento trasportata in un altro mondo, in un paese con le strade impolverate nell’estate e fangose durante le piogge, i rumori intorno non sono motori né radio o televisori, ma le voci, i richiami, l’agrodolce parlata serramannese, le ruote dei carri che passavano e ripassavano per le vie sulle quali si affacciavano portoni spalancati che straripavano di vita, di bambini di tutte le età, di donne affaccendate, gli uomini quasi tutti in campagna. Quella dove lavorava una Maria ragazzetta era infatti una campagna affollata, metà del paese viveva lì gran parte delle giornate e durante il lavoro poco era concesso, tuttalpiù si pregava con rosari e avemaria: “Toccai piccioccas, un atru arrosariu innanti de scappai”. Il lavoro della terra era la loro ricchezza, era il pane garantito tutti i giorni. Poche le feste ma vissute con un’intensità e una partecipazione corale oggi smarrita. Tzia Maria mi parla di tre feste religiose: Santa Maria, Sant’Isidoro, San Daniele, le prime due ancora vissute dal paese, la terza, che si festeggiava nella chiesetta si sant’Angelo, è invece stata dimenticata. Per Santa Maria tutto il paese accoglieva il simulacro al suo rientro in parrocchia dove venivano fatti scoppiare i fuochi d’artificio. Il dolce che non poteva mancare era su gattou di mandorle, profumato con le foglie di limone e colorato dalla traggera.
Nel 1934 Maria si fidanza con Vittorio: ma come ci si fidanzava a quei tempi? “Cumenti? No du scisi?” Nossi, tzia Maria, no du sciu… “Cun sa litteredda!! lui scriveva la lettera dove si dichiarava interessato a parlare e a vedere la fanciulla. Due me ne ha scritto! Ma io non ho risposto! Poi un giorno mi ha fermata nella strada (sbregungiu!) e mi ha detto che andava a parlare con mio padre. Così mio padre gli ha dato il permesso. E ci parlavamo dalla finestra (notare che si parlavano ma non si guardavano..). Potevamo vederci a sa passillada o in cresia. Solo questo ci era permesso ed è durato quattro anni. Poi è partito militare e nel frattempo è scoppiata la guerra e da allora solo qualche settimana di congedo ci aveva permesso di vederci. Un giorno del 1942 ha bussato al portone il padre di Vittorio: era arrivata la lettera che lo dichiarava disperso…, non morto, in Russia”. Da quel momento comincia un’altra storia, dove Maria coltiva la speranza del ritorno a casa di Vittorio. Lei stessa non ha mai nascosto che lo avrebbe preferito anche sposato con una donna di quei luoghi, ma vivo. Solo alcuni anni fa un ex militare di Serramanna, Luigi Atzori, appassionato di storia, ripercorrendo la ritirata dell’esercito italiano dalla Russia è risalito ai serramannesi che erano in quelle truppe ed ha trovato il nome di Vittorio tra i soldati italiani morti in un ospedale polacco. Così Maria, sulla soglia dei cento anni, ha potuto conoscere ciò che il destino aveva riservato al suo promesso sposo.
Non è facile intervistare tzia Maria, lei mentre parla è un fiume in piena, racconta aneddoti, parla delle tante persone ancora vive nella sua fervida memoria, mi sommerge di nomi e cognomi chiedendomi: “…du sus connoscisi? Fillu de su talli, coiau cun sa talli…” Tzia Maria! Ma erano tutti morti quando io non ero neanche nata!…ma questo per lei è un particolare di poco conto. Mentre parliamo ne osservo la gestualità ancora sciolta, lo sguardo a cui non sfugge un movimento, il filo dei ricordi e del discorso ben saldo tra le mani, proprio come quello dell’uncinetto con cui lavora. Sono ancora tante le cose di cui parlare con lei, ma il suo spirito libero chiede di essere lasciato sciolto, a divagare, a tornare indietro nel tempo, ai giorni felici della gioventù, quando ancora il futuro era un’incognita e i sogni ancora realizzabili.
Oggi la sua forza d’animo le permette di iniziare ogni giorno con un progetto cui tenersi ben ancorati, i sogni della notte, come mi racconta con una nuova dolcezza nella voce, le permettono di incontrare ancora i suoi cari: il padre, la madre, le sorelle a cui è sopravvissuta, il fidanzato, le amiche del vicinato, volti e storie che ormai vivono solo nei suoi ricordi.
Grazie, Maria Arisci.
Manuela Orrù
La Madonnina della grotta della Chiesa di San Leonardo
La Madonnina, posizionata a ricordo dell’anno mariano – nell’anno 1958 – all’interno di una piccola grotta realizzata con pietre di Serrenti, durante i lavori di restauro del 2005 è stata rimossa e non riposizionata, perché, pare, in quell’angolo si creasse umidità che poi si ripercuoteva all’interno della chiesa stessa.
Gli interventi di restauro e salvaguardia della parrocchia di San Leonardo si sono sviluppati nel corso di 16 anni (1993-2009) in diversi interventi, commisurati all’urgenza di contenere il deterioramento del monumento e rapportati, soprattutto, alle disponibilità finanziarie dell’Amministrazione Comunale.
In particolare, nel triennio 1993-1996 si è provveduto al restauro della cupola, dove l’intervento ha permesso di sostituire il manto di tegole molto degradate e più volte rimaneggiate. Sono stati sostituiti i tiranti e le cerchiature metalliche corrose dalla ruggine, sono state reintegrate le malte degradate, ed è stata rimontata la croce originale sulla lanterna.
In un successivo intervento (1999-2002) ci si è occupati del restauro della facciata principale e del portale (consulenza geologica Fausto Alessandro Pani; impresa esecutrice “Laboratorio di restauro di G.B. Asuni”).
Con il restauro della facciata è stata ripulita la facciata in pietra, il portale principale e il portale ogivale posto tra il sagrato ed il piazzale dell’oratorio; sono stati consolidati i conci di pietra degradati, con sostituzione parziale delle lacune.
È stata inoltre restaurata la statua marmorea (molto degradata, con parti di superficie corrosa per le condizioni ambientali e il materiale fragile ed interessato da diverse fratture) collocata nella lunetta del portale, poi ricoverata in locali interni e sostituita con una copia.
I successivi interventi, sono stati:
Restauro del campanile (2002-2004, consulenza geologica Fausto Alessandro Pani. Impresa esecutrice “Andrea Sarritzu”. Il restauro del campanile ha comportato una accurata disinfestazione e pulizia delle superfici, è stata consolidata la pietra degradata, sono state colmate le lacune che avrebbero comportato un ulteriore degrado.
Risanamento edilizio e recupero ambientale delle pertinenze della chiesa (1999-2001: l’intervento è stato progettato dallo studio dell’arch. R. Badas e dell’Ing. F. Falqui con la collaborazione dell’Arch. L. Ortu e dell’Ing. F. Cadeddu).
L’intervento ha consentito la demolizione dei piani alti di un edificio vicino, la cui ingombrante mole impediva una corretta fruizione del monumento, la risistemazione della copertura dello stesso edificio parzialmente demolito, la sistemazione della piazzetta Martiri e soprattutto il restauro del sagrato e del bastione antistanti la chiesa.
Restauro delle facciate laterali (2006-2009; Impresa esecutrice RDM):
“Il restauro completa gli interventi esterni della chiesa. Con l’intervento sono stati restaurati tutti gli intonaci originali (o quantomeno antichi) ancora presenti, le integrazioni sono state eseguite con malte di calce, con l’utilizzo di malte deumidificanti nelle parti basamentali delle murature. Sono state rimosse le superfetazioni che procuravano danni ed umidità alle murature antiche, sono state evidenziate parti murarie originali, recentemente obliterate”.
Riporta così la relazione stilata dallo “Studio di Architettura Ortu e Pillola Associati”.
È proprio durante questi ultimi lavori, che la Madonnina e la grotta son state rimosse.

Una foto di com’era (di Maurizio Anoffo), e una di com’è attualmente
Don Pes, il parroco della Chiesa di San Leonardo, si è molto prodigato affinché la statua della Madonna tornasse al suo posto.
Nel 2012, ha dichiarato, molto piccato a riguardo dell’incresciosa situazione:
“La “grotta” per i cosiddetti “competenti” era una “superfetazione” (una parolona come tante che si utilizzano per riempirsi la bocca e per darsi arie di fronte ai non esperti) che, anche se era stata edificata da tanto tempo, andava abbattuta. Magari, ad evitare la contestazione, trovando la giustificazione che creava umidità.
La soluzione trovata al problema dell’umidità, sempre dai “competenti”, è constatabile ogni qualvolta scendono poche gocce di pioggia: una bella pozzanghera d’acqua che non solo causa umidità alla struttura muraria della chiesa, ma poi, quando si asciuga, diventa una bella riserva di guano “profumato”. L’errore più grave, a mio avviso, è stato fatto quando si è permesso ai progettisti di demolire la “grotta” senza pretendere che trovassero una soluzione per una collocazione adeguata della statua della Madonna di Lourdes che era stata posizionata come ricordo dell’anno mariano 1958. Oggi il problema non è assolutamente facile da risolvere per tante ragioni. Ricostruire la grotta comporterebbe un notevolissimo impegno economico e, soprattutto, troverebbe insormontabili ostacoli burocratici da parte della Soprintendenza ai Monumenti.
L’idea di riposizionare la statua su un piedistallo di trachite è venuta a Flaviano Ortu che ha ideato anche un bozzetto abbastanza semplice e che, a mio modesto parere permette di non lasciare vuoto il “buco” che si è venuto a creare e, soprattutto, permetterebbe ai devoti di poter esprimere la propria venerazione alla Madonna fermandosi a recitare una preghiera o anche a deporre un fiore ai suoi piedi. Sempre meglio che tenerla conservata in un angolo dell’Ufficio Parrocchiale, ogni tanto spolverata da parte delle signore del “Gruppo Santa Marta””.

La Madonnina, all’interno della sua grotta, prima dell’abbattimento
La reliquia di San Sisinnio, contesa tra Serramanna e Villacidro
La tradizione orientale presenta San Sisinnio, in generale, come vincitore del diavolo tentatore e protettore della madre e del bambino dopo il parto.
Secondo la tradizione sarda Sisinnio di Leni, villaggio nelle vicinanze di Villacidro distrutto dai musulmani, nacque nel 123 d. C. così come si evince dall’epigrafe ritrovata, il 17 luglio 1615, nel santuario ipogeo di San Lucifero a Cagliari, da cui si può dedurre, che Sisinnio morì il decimo giorno delle calende di maggio nel terzo anno di indizione cioè il 22 aprile del 185 d.C. regnante l’imperatore Commodo.
Le reliquie del santo sono, a tutt’oggi, custodite nel Duomo di Cagliari, tranne una costola, contenuta in una teca d’argento e accompagnata da atto notarile, donata agli abitanti di Villacidro e conservata nella Chiesa parrocchiale di Santa Barbara.
A Villacidro, a ricordo delle missioni, vi è una croce in legno, chiamata comunemente “Sa grux’e Santu Sisinni”, dove pare avvenne una furibonda rissa tra villacidresi e serramannesi per il possesso della reliquia del Santo martire.
Quando venne ritrovato il corpo di Sisinnio, con le ferite ancora visibili ed il sangue ancora rappreso attorno, “…sus Reliquias ensangrentadas…”, il Canonico Francesco Martis, vicario generale del Monsignor D’Esquivel, consegnò al Canonico Melchiorre Pirella, prebendato di Serramanna con annesse Villacidro e Nuraminis, un frammento di costola del Santo Martire in una teca d’argento.
A quella data, 1615, com’è indicato nell’iscrizione della teca: “S. Sisinnius martir qui vixit annis 62. Quievit in pace anno 185. Inventum fuit 15 julii 1615 in eccl. S.ti Luxorii sotterranea prope D. Saturninum et haec reliquiam data fuit a Rev. Vicario Martis instante Canonico Melchiorre Pirella, Ecclesia S.ti Sisinnii, quae in oppido Villakirdos antiquissima”, la chiesetta del Santo era già considerata “antiquissima“.
Forse risale allo stesso periodo in cui fu ricostruita vicino a Serramanna la chiesetta di Santa Maria di Leni.
Il dono era ovviamente destinato alla chiesa del Santo, ma trattandosi di una chiesetta campestre nel territorio del canonicato di Serramanna, nella parrocchia di questo paese la preziosa reliquia venne custodita. E dalla parrocchia di Serramanna partiva ogni anno, in processione, per dare inizio alla festa d’agosto, che forse ricorda la data della donazione, giacché il martirio del santo avvenne negli ultimi giorni d’aprile.
I villacidresi avevano sempre mal sopportato il fatto che la reliquia del loro santo compaesano fosse custodita in un altro paese. Per questo le due comunità di fedeli, per modo di dire, villacidresi e serramannesi durante i giorni della festa non si vedevano molto di buon occhio.
Ma siccome così era stato stabilito dalle Autorità, i primi, facendo buon viso a cattivo gioco, si limitavano a mugugnare in sordina, adattandosi, in sostanza, alla situazione, anche se non gradita.
Quando, nel 1767, Villacidro passò dalla diocesi di Cagliari a quella di Ales, in sostituzione di Villamar, che da Ales era passata a Cagliari, i sordi brontolii sfociarono in aperta ribellione.
Serramanna e Villacidro venivano a trovarsi su campi separati: in diocesi diverse, affermavano i villacidresi.
Non c’era più motivo perché i serramannesi continuassero a gestire la festa più prestigiosa del loro paese. Lettere di protesta piovvero alle due diocesi, ma ormai il rito del pellegrinaggio del Santo era già antico di 150 anni: era già diventato tradizione e nessuno più volle assumersi la responsabilità di modificarlo.
Un gruppo di baldi ed aitanti guerrieri a cavallo ed armati di tutto punto, si appostarono, dietro alcune siepi di mirto ed attesero l’arrivo della processione da Serramanna.
Quando questa apparve sbucarono, truci e minacciosi, intimando l’immediata consegna della reliquia.
Al rifiuto del sacerdote, circondato dalla cavalleria serramannese, spade, daghe e coltellacci scintillarono subito al sole.

Reliquiario in argento che contiene un frammento osseo
di San Sisinnio e una pergamena datata 1631
(custodito nella Chiesa di Santa Barbara a Villacidro)
I serramannesi, anche se colti alla sprovvista, tentarono di reagire, ma quando videro uno di loro cadere colpito a morte, tutto il loro eroismo svanì di colpo e si diedero a una precipitosa fuga.
Il povero prete officiante non poté far altro, suo malgrado, che consegnare la preziosa teca e tornare a Serramanna.
Pare che l’anno successivo i serramannesi avessero preso anche le contromisure in un tentativo di riconquista, ma inutilmente.
Una seconda batosta tolse definitivamente loro ogni residua velleità di rivalsa.
Nacque allora la tradizione della scorta armata del Santo. Una scorta che ormai, a distanza di secoli, ha un sapore esclusivamente folcloristico, giacché i serramannesi d’oggi non sembrano molto propensi ad organizzare imboscate per rubare reliquie dei santi.
E, come scriveva Luigi Muscas, «se vanno a rubare a Villacidro, è molto più probabile che si attardino nei frutteti».
Le foto della Domenica delle Palme 2016
Con la Domenica delle Palme o più propriamente Domenica della Passione del Signore, inizia la solenne annuale celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione.
Questa festività è osservata non solo dai cattolici, ma anche dagli ortodossi e dai protestanti.
In questo giorno la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella a un asino, osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma. La folla, radunata dalle voci dell’arrivo di Gesù, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi intorno, e agitandoli festosamente gli rendevano onore.
Domenica delle Palme a Serramanna
Ecco alcune fotografie della benedizione delle palme nella parrocchia di San Leonardo, svoltasi in Piazza Venezia domenica 20 marzo 2016.
Un ringraziamento a Piero Lecca, autore degli scatti.

Altare di San Leonardo
S’Incontru di Pasqua 2016 – fotografie e video
Come due anni fa, il Cristo Risorto è partito dalla Chiesa di San Leonardo, mentre la Madonna da quella di Sant’Ignazio. Il tradizionale Incontro è avvenuto nella piazza Martiri.
Oltre alla presenza dei due parroci, Don Giuseppe Pes e Don Pietro Mostallino, era presente anche il Vescovo di Cagliari Mons. Arrigo Miglio.
Dal 2013, in accordo con l’esortazione dell’Arcivescovo, le celebrazioni della Pasqua avvengono in comunione e collaborazione tra le due parrocchie. Sia la processione de “S’Incontru” che la Santa Messa di Pasqua vengono celebrate seguendo il principio dell’alternanza con il Corpus Domini.
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Un ringraziamento a Piero Lecca per le fotografie presenti in questo articolo e a Paolo Casti per il filmato.
Il Gruppo Folk Su Stentu alla 360^ Festa di Sant’Efisio
Anche quest’anno il Gruppo Folk Su Stentu rappresenterà il nostro paese nei festeggiamenti per onorare il Voto che Cagliari e la Sardegna fece al glorioso Martire Sant’Efisio l’11 Luglio del 1652. In quell’anno si chiese, attraverso la sua intercessione, che fosse scongiurato il diffondersi della peste.
L’importanza e il significato religioso di questa antichissima celebrazione arrivata al 360° anno – quasi quattro secoli – rende orgoglioso non solo tutto il gruppo Su Stentu ma anche tutta la cittadinanza serramannese.
Partecipare alla festa di Sant’Efisio il primo Maggio di ogni anno è, per i Cagliaritani e per tutti i sardi, prendere parte ad un rito che si perpetua da secoli, mai interrotto neanche in periodi tristi della nostra Storia.
Il Gruppo Folk Su Stentu con entusiasmo e orgoglio partecipa alla processione con una coppia, in modo da rappresentare il nostro paese portando la semplicità e l’eleganza del nostro abito tradizionale, individuato dopo un accurata ricerca in paese tra i ricordi più cari di alcune famiglie serramannesi. La sera del primo Maggio a Sarroch, in solenne processione, il gruppo completo accompagnerà il Santo nel suo cammino verso Pula.
La Polisportiva Atletica Serramanna compie 37 anni
3 maggio 1979: nasce la Polisportiva Atletica.
Sono passati 37 anni da quel 3 maggio 1979, quando Giampaolo, Angelo, Antonio, Ignazio, Gianfranco, Enrico e Salvatore si recarono dal notaio Dott. R. Putzolu a Villacidro per costituire la “Polisportiva Atletica“.
L’articolo 3 dell’Atto Costitutivo recita: “L’Associazione si propone di praticare, promuovere e diffondere lo sport a carattere sociale, di massa e l’attività sportiva in genere, intesa come mezzo di formazione fisica e morale.”
Da quel giorno hanno fatto parte e continuano a far parte di questa società centinaia di bambini, ragazzi e adulti accomunati dal volersi divertire praticando sport.
Dal 1979 a oggi si sono susseguiti ben 12 presidenti, a partire da Giampaolo Conti, passando per Ignazio Atzori, Angelo Scalas, Gianfranco Farris, Gianni Soddu, Vittorio Curreli, Paolo Tocco, Antonio Ara, Fulvio Lilliu, Franco Casti, Fabio Onnis e arrivando fino all’attuale Ignazio Frongia. Non dimentichiamo tutti i dirigenti, vice-presidenti, segretari, cassieri, consiglieri, sindaci e probiviri, responsabili di settore, rappresentanti degli atleti, tecnici di tutti i settori i cui nomi sarebbero impossibili da scrivere tutti quanti e troppo riduttivo scriverne solo alcuni.
Un “GRAZIE” non basta per congratularsi con quello che è stato costruito, non è facile né costituire né mantenere una società sportiva – soprattutto di questi tempi – ma loro ci sono riusciti e ci riescono per il bene della comunità serramannese e dello sport.
La A.S.D. Polisportiva Atletica Serramanna è un grande movimento sportivo. Numerosi sono gli eventi e le attività organizzate:
- La Pazzieggiata, che quest’anno festeggerà il 32° anno di vita, porta al movimento fisico più di 800 persone l’anno, il tutto incorniciato da una sana mangiata e da intrattenimento con giochi e estrazioni;
- Il Trofeo Città di Serramanna, nato dalle ceneri del “Trofeo Atletica Serramanna”, storica manifestazione (1^ edizione nel 1980 e 30 edizioni complessive) di corsa su strada che ha portato per le strade serramannesi atleti di interesse internazionale, che adesso (3^ edizione) fa correre centinaia di atleti isolani;
- Il Torneo di Natale, con decine di partite di pallacanestro con squadre da diverse parti dell’Isola;
- Il Torneo di Ping Pong, che nonostante la giovane fondazione ha già fatto registrare un buon numero di partecipanti;
- Il Settore Atletica Leggera e C.A.S., con circa 140 tesserati (ricomprendo tutte le categorie) che quest’anno hanno già partecipato a più di 20 gare con ottime prestazioni. Il settore agonistico si allena nella pista di Bia Nuraminis mentre i CAS nella palestra delle scuole medie in Via Sicilia;
- Il Settore Basket e Minibasket, con 7 diverse squadre (100 tesserati, circa 40 nel minibasket, più di 50 nel basket e più di 10 nella categoria femminile) tra cui 5 che partecipano ai rispettivi campionati con ottimi risultati. Si allenano tra la palestra di Via Svezia e quella delle medie in Via Sicilia;
- Il Settore Tennistavolo, ultimo nato in famiglia, che partecipa al campionato regionale di serie D2 e a vari Tornei in tutta la Sardegna con buoni risultati. Si allenano nella palestra delle scuole medie in Via Sicilia;
- Il Settore Ginnastica, porta all’educazione fisica alcune signore il martedì e il giovedì nella palestra delle scuole medie in Via Sicilia.
Più di 250 tesserati che superano i 300 membri se si considerano tutti i Dirigenti, Tecnici, Genitori e Soci.
A tutta questa GRANDE FAMIGLIA: AUGURI!
Le foto sono varie e sopratutto storiche… chi si riconosce?
I Serramannesi e la passione per il calcio
Alla fine degli anni ‘40, conclusasi ormai la 2a Guerra Mondiale, la Sardegna torna alla normalità. A Serramanna la vita riprende respiro, secondo le vecchie abitudini, l’agricoltura rifiorisce e la comunità si riappropria di tutti gli spazi che, per alcuni anni, erano stati occupati dai militari e dal loro apparato bellico. I giovani riprendono gli studi, le attività sportive tradizionali e scoprono il calcio.
Naturalmente, un calcio da dilettanti. Le squadre non hanno l’organizzazione attuale e sono spesso gruppi improvvisati di ragazzi pieni di voglia di muoversi e correre in assoluta libertà, dunque calciatori improvvisati, con nessuna regola da rispettare che non siano quelle normalmente in uso nel corretto vivere sociale e, ciò che più conta (come oggi ben sappiamo), tutto funziona “gratis et amore Dei”, come dire, pura attività motoria e gioia di vivere. E ci voleva dopo un periodo di morte e distruzione!
Si riprendono le feste religiose tradizionali e se ne promuovono di nuove che i giovanissimi ancora non conoscono o di cui si è perso il ricordo a causa della guerra.
È legato a questo periodo un fatto curioso e divertente accaduto a Serramanna in uno degli ultimi anni ‘40. È il 4 Novembre, giorno in cui si celebra “Sa di’e sa vittoria” e, in piazza Martiri, ai piedi del monumento loro dedicato, si ricordano i Caduti della guerra ‘15-‘18, la 1a Guerra Mondiale.
Anche in questo anno, dopo la guerra e l’occupazione tedesca, la cerimonia è in programma con il consueto rituale. Il Presidente dell’Associazione Combattenti e Reduci di Guerra custodisce la gloriosa bandiera tricolore in casa sua, in via Roma, che è anche la sede dell’Associazione. La solennità è quella riservata alle grandi occasioni storiche. Egli si appresta ad estrarre il tricolore dalla sua custodia, alla presenza di coloro che assistono in religioso silenzio. Ma la sua mano si blocca ed egli sbianca in volto, è quasi sul punto di venir meno. Che cosa succede? Ma la Storia, si sa, non concede tregua al disagio umano ed egli è costretto ad informare i presenti della sconcertante scoperta. Sì, l’asta della bandiera che si credeva gelosamente custodita, le medaglie, le frange dorate, i nastri, tutto è al suo posto. Manca solo il drappo tricolore, quel vessillo che, si diceva, aveva spronato e condotto alla vittoria il glorioso esercito dei piccoli soldati sardi.
Come è stato possibile? Chi ha compiuto questo atto sacrilego? Non sappiamo a quale stratagemma abbia fatto ricorso il Presidente per ovviare al grave inconveniente, ma la solennità della cerimonia, che prosegue come da programma, non viene turbata da altri colpi di scena.
Il corteo, composto e profondamente calato nel suo ruolo storico, si avvia per le strade del centro verso il Palazzo Municipale, dove già attendono il Sindaco e i suoi Consiglieri e tutti, al seguito di un tricolore (ma quale?) con le medaglie conquistate sul fronte, raggiungono il prestigioso monumento ai piedi del quale viene fatto l’appello dei Soldati caduti per la Patria. La commozione è grande. Del resto, anche i presenti comprendono bene a quale immane dramma sono appena scampati. I Tedeschi, per fortuna, hanno lasciato la Sardegna senza colpo ferire. Quante vite umane vale quella decisione presa coraggiosamente e, soprattutto, responsabilmente dai vertici del Comando Militare della Sardegna? Io non smetterò mai di rifletterci. Ma, tornando al “4 Novembre” di cui parliamo, la cerimonia si conclude con un corroborante rinfresco.
Ma i Serramannesi hanno già lasciato la Storia, quella “grande”, nazionale. La voce su quanto è accaduto in casa del Presidente incomincia a serpeggiare tra i curiosi e ci si chiede chi e perché abbia compiuto quell’atto sacrilego sottraendo il tricolore e defraudando quel “4 Novembre” della sua legittima solennità. Una bravata? Potrebbe essere… Una mamma spinta dalla necessità di recuperare un po’ di stoffa per confezionare qualcosa ai suoi bambini? Sono tempi difficili questi del dopoguerra… Ma ecco, qualcuno ricorda… riflette… Sì. Le immagini e i tempi combaciano! Una importante partita di calcio, la squadra del Serramanna, un giovane giocatore che entra in campo con un abbigliamento particolarmente vistoso! Ecco, dunque, che cosa è successo. E, se non possiamo giustificare, possiamo almeno comprendere! Le ristrettezze economiche, la carenza di materie prime o la difficoltà di approvvigionarsene, neanche i Comuni agricoli più ricchi possono ignorarle: si mangia, sì, ma come ci si veste? L’orbace e le pelli d’agnello che gli agricoltori e i pastori conoscono bene, non sempre rispondono alle esigenze dei tempi nuovi. E a Serramanna i giovani incominciano a praticare il calcio con vera passione. Nascono le squadre rionali e ci si confronta con puro spirito sportivo. Certo, non c’è ancora un abbigliamento adeguato e non ci si può nemmeno vestire di velluto o di orbace. Si corre, si suda e il sudore attiverebbe la reazione feroce dell’orbace. Eppure, anche per esigenze tattiche, è necessario distinguersi dall’avversario. Come fare? È a questo punto che nella mente di un giovane calciatore del Serramanna si accende la lampadina e decide di mettere in atto un suo azzardato progetto. Del resto, la partita è importante. Ed egli decide di scender in campo con i suoi stravaganti pantaloncini bicolore: una gamba rossa (la sinistra) e una verde (la destra). Manca il bianco che, diranno poi i maligni, essendo trasparente, avrebbe messo in evidenza l’eccessiva peluria del giovane giocatore. Chi era dunque costui? Si disse, allora, che facesse parte della famiglia del presidente in carica, ma non ne abbiamo alcuna certezza.
Ci piacerebbe conoscere il risultato di quella partita e capire se, affrontare lo scandalo, ne era valsa la pena. Ma forse non lo sapremo mai, così come non sapremo mai (forse) quale sia stata la reazione della famiglia al comportamento sconsiderato del giovane calciatore (com)promettente. Siamo invece certi che il tricolore oggi conservato “gelosamente”, non è più quello “glorioso” che, come si diceva, aveva accompagnato i nostri soldati nella 1a Guerra Mondiale.
A questo punto potremmo chiederci se tutto questo è un fatto realmente accaduto o è una storia di pura fantasia. Ma, oggi, a che cosa servirebbe saperlo? Io ne ho parlato solo per introdurre un argomento caro ai giovani serramannesi del dopoguerra e per dare luce ad un calciatore dilettante che, a modo suo, ha lasciato traccia di sé e dei tanti ragazzi che praticavano questo sport. Comunque, mi piace immaginarlo, quel giovane calciatore “peloso”, dribblare, palla al piede, sui campi sterrati e pieni di buche di allora, con i suoi pantaloncini bizzarri, al ritmo della famosa canzoncina “Serramanna, si sa, rivali non ha nel giocare a palla…”. Chi la scrisse e chi la musicò questa canzone? Anche questa è storia: è la nostra piccola storia!
Io ho avuto l’opportunità di conoscere molti di questi giovani sportivi: uno soprattutto. Si chiamava Marino. Di lui mi piace rendere nota una foto, scattata al Poetto, molto eloquente sullo stile e sull’impegno dedicato da questi ragazzi al gioco del pallone. A TUTTI LORO va il mio pensiero affettuoso.