Quando la vado a trovare, purtroppo non quanto vorrei, la trovo seduta sulla sedia a rotelle che lei stessa spinge coi piedi, la schiena dritta, tra le mani nodose ma ancora agili tiene il lavoro all’uncinetto (che svolge senza occhiali!) con cui prepara le bomboniere da regalare al compleanno dei cento anni, i bianchi capelli raccolti nella morbida crocchia a treccia che probabilmente l’accompagna da quel lontano giorno in cui abbandonò l’infanzia per entrare nel mondo degli adulti, circa ottant’anni fa. Lo sguardo dei suoi occhi azzurri ancora lucenti e vivi mi accoglie con un piacere che sconfina nella gioia infantile di chi finalmente incontra qualcuno che aspettava da tempo. Ci abbracciamo con affetto, ci scambiamo delle battute sulla mia latitanza che lei dice di comprendere ma poi mi rimprovera con quelle parole che mi fanno capire quanto per lei sia importante non essere dimenticata, abbandonata alla solitudine della sua maestosa e desolata età, perché così è lei oggi proprio come le cime delle montagne più alte.
Maria Arixi ha compiuto 98 anni il 23 agosto, classe 1917, oggi vive in casa dei nipoti, accudita da loro, da Susanna e dalle geriatriche della cooperativa. Da una caduta avvenuta circa sei anni fa sul portone di casa non ha più l’autonomia per deambulare. Tanti serramannesi la ricorderanno per le sue numerose partecipazioni alla Pazzieggiata, con le scarpe di tutti i giorni e l’immancabile gonna: “..cali adessi stetia sa bregungia a si poi is crazonis cumenti is ominis!”. Perché tzia Maria è una donna di altri tempi, potremmo dire che è una “fidanzata di guerra”, infatti il suo promesso sposo, Vittorio, risultò disperso in Russia e lei per sessant’anni, destreggiandosi tra Ministero della Guerra e della Difesa, tempestando di lettere oscuri e anonimi impiegati ministeriali, ha cercato di avere notizie di quel ragazzo cui aveva affidato il suo cuore di fanciulla innamorata.
Tzia Maria, ieri come oggi, non è una mite e placida vecchietta, è invece una donna altera e spigolosa, orgogliosa e puntigliosa, non dimentica e non perdona facilmente, implacabile con chi le fa dei torti, lucida e presente nell’oggi, precisa e ricca nei ricordi del passato, appartiene ad una stirpe di serramannesi ormai estinti. Un Thirannosaurus Rex che se invece de sa gunnedda avesse portato is crazonis, visto il temperamento risoluto e tenace, avrebbe magari ricoperto una carica politica, che so… la sindaca!
Una donna di quei tempi poteva ambire a diventare il perno della vita della famiglia, ma la guerra e il destino hanno voluto che lei una sua famiglia non se la facesse e incentrasse la sua esistenza nel ricordo di quel fidanzato inghiottito dalle immense steppe innevate della Russia. Quel ricordo è stato il motore della sua esistenza, con consapevolezza lei è stata la sposa di Vittorio e di nessun altro. Il lavoro, la cura dei genitori prima, delle sorelle e dei nipoti poi, hanno riempito le giornate della sua lunga esistenza. Il lavoro, soprattutto, le ha permesso di mantenere l’indipendenza economica, fin da giovinetta, finita la scuola, ha accompagnato il padre in campagna, con le sorelle andava “a sa spiga”, “a scudi mendua e obia”, lavori duri, fisici, che richiedono forza e resistenza, schiena forte e braccia robuste. Finché c’è stato il padre in campagna ci andava col carro, poi a piedi e fino a pochi anni fa la si poteva incontrare con il suo carrello e sa cannuga, che ancora svolgeva quei lavori a lei familiari e oggi ignorati anche dai giovani agricoltori.
Per lei io sono una pronipote acquisita, il suo fidanzato era un mio prozio, fratello di nonna che, insieme a tutta la sua famiglia, ha sempre considerato Maria una cognata, una parente di cui far conto. Relazioni di altri tempi, legami antichi capaci di non dissolversi, con radici profonde come quelle di alcuni mandorli e olivi ancora presenti nell’agro del nostro paese. Lei è una delle poche memorie lucide rimaste di una comunità agricola che nella globalizzazione moderna cerca, faticosamente e a prezzo di grandi sacrifici, una strada per non scomparire. E’ importante non dimenticare da dove veniamo, riconoscere le orme che ci hanno preceduto, onorarle e valorizzarle per poter ritrovare un filo conduttore identitario che non ci faccia smarrire in un labirintico futuro.
Quando parlo con tzia Maria mi sento trasportata in un altro mondo, in un paese con le strade impolverate nell’estate e fangose durante le piogge, i rumori intorno non sono motori né radio o televisori, ma le voci, i richiami, l’agrodolce parlata serramannese, le ruote dei carri che passavano e ripassavano per le vie sulle quali si affacciavano portoni spalancati che straripavano di vita, di bambini di tutte le età, di donne affaccendate, gli uomini quasi tutti in campagna. Quella dove lavorava una Maria ragazzetta era infatti una campagna affollata, metà del paese viveva lì gran parte delle giornate e durante il lavoro poco era concesso, tuttalpiù si pregava con rosari e avemaria: “Toccai piccioccas, un atru arrosariu innanti de scappai”. Il lavoro della terra era la loro ricchezza, era il pane garantito tutti i giorni. Poche le feste ma vissute con un’intensità e una partecipazione corale oggi smarrita. Tzia Maria mi parla di tre feste religiose: Santa Maria, Sant’Isidoro, San Daniele, le prime due ancora vissute dal paese, la terza, che si festeggiava nella chiesetta si sant’Angelo, è invece stata dimenticata. Per Santa Maria tutto il paese accoglieva il simulacro al suo rientro in parrocchia dove venivano fatti scoppiare i fuochi d’artificio. Il dolce che non poteva mancare era su gattou di mandorle, profumato con le foglie di limone e colorato dalla traggera.
Nel 1934 Maria si fidanza con Vittorio: ma come ci si fidanzava a quei tempi? “Cumenti? No du scisi?” Nossi, tzia Maria, no du sciu… “Cun sa litteredda!! lui scriveva la lettera dove si dichiarava interessato a parlare e a vedere la fanciulla. Due me ne ha scritto! Ma io non ho risposto! Poi un giorno mi ha fermata nella strada (sbregungiu!) e mi ha detto che andava a parlare con mio padre. Così mio padre gli ha dato il permesso. E ci parlavamo dalla finestra (notare che si parlavano ma non si guardavano..). Potevamo vederci a sa passillada o in cresia. Solo questo ci era permesso ed è durato quattro anni. Poi è partito militare e nel frattempo è scoppiata la guerra e da allora solo qualche settimana di congedo ci aveva permesso di vederci. Un giorno del 1942 ha bussato al portone il padre di Vittorio: era arrivata la lettera che lo dichiarava disperso…, non morto, in Russia”. Da quel momento comincia un’altra storia, dove Maria coltiva la speranza del ritorno a casa di Vittorio. Lei stessa non ha mai nascosto che lo avrebbe preferito anche sposato con una donna di quei luoghi, ma vivo. Solo alcuni anni fa un ex militare di Serramanna, Luigi Atzori, appassionato di storia, ripercorrendo la ritirata dell’esercito italiano dalla Russia è risalito ai serramannesi che erano in quelle truppe ed ha trovato il nome di Vittorio tra i soldati italiani morti in un ospedale polacco. Così Maria, sulla soglia dei cento anni, ha potuto conoscere ciò che il destino aveva riservato al suo promesso sposo.
Non è facile intervistare tzia Maria, lei mentre parla è un fiume in piena, racconta aneddoti, parla delle tante persone ancora vive nella sua fervida memoria, mi sommerge di nomi e cognomi chiedendomi: “…du sus connoscisi? Fillu de su talli, coiau cun sa talli…” Tzia Maria! Ma erano tutti morti quando io non ero neanche nata!…ma questo per lei è un particolare di poco conto. Mentre parliamo ne osservo la gestualità ancora sciolta, lo sguardo a cui non sfugge un movimento, il filo dei ricordi e del discorso ben saldo tra le mani, proprio come quello dell’uncinetto con cui lavora. Sono ancora tante le cose di cui parlare con lei, ma il suo spirito libero chiede di essere lasciato sciolto, a divagare, a tornare indietro nel tempo, ai giorni felici della gioventù, quando ancora il futuro era un’incognita e i sogni ancora realizzabili.
Oggi la sua forza d’animo le permette di iniziare ogni giorno con un progetto cui tenersi ben ancorati, i sogni della notte, come mi racconta con una nuova dolcezza nella voce, le permettono di incontrare ancora i suoi cari: il padre, la madre, le sorelle a cui è sopravvissuta, il fidanzato, le amiche del vicinato, volti e storie che ormai vivono solo nei suoi ricordi.
Grazie, Maria Arisci.
Manuela Orrù